DECRESCITA, il pensiero di Serge Latouche
Il progetto della decrescita è la costruzione di una società di abbondanza frugale e di prosperità senza crescita
La decrescita è un programma politico?
Il
movimento della decrescita è rivoluzionario e anticapitalistico e il suo programma è fondamentalmente
politico. Ma è di destra o di sinistra? Molti
ecologisti, come pensano che «oggi la vera
contrapposizione politica non è più tra “destra” e “sinistra”
ma tra partigiani della preoccupazione
ecologica e
predatori. Indubbiamente si può sostenere che il programma che noi
proponiamo, che è in primo luogo un programma
di buon senso, è altrettanto poco condiviso sia a
sinistra che a destra. Va notato però che i partigiani della
preoccupazione ecologica che non si collocano «a sinistra»
rimangono spesso stranamente silenziosi sui predatori...
La politica politicante
È certo
che la seduzione della
politica politicante oggi sembra crescere insieme alla sua
evidente impotenza, e che i candidati sgomitano per capitalizzare
il più rapidamente possibile il successo (tutto relativo)
di questa o quella legittima rivendicazione.
Noi al contrario pensiamo che sia più importante far sentire un peso nel dibattito, influenzare le posizioni dei diversi attori politici, far prendere in considerazione alcuni argomenti, contribuire a far evolvere le mentalità. Oggi è questa la nostra missione e la nostra ambizione.
Noi al contrario pensiamo che sia più importante far sentire un peso nel dibattito, influenzare le posizioni dei diversi attori politici, far prendere in considerazione alcuni argomenti, contribuire a far evolvere le mentalità. Oggi è questa la nostra missione e la nostra ambizione.
Umanesimo
Rifiutando
una concezione superficiale dell’ecologia, la decrescita si colloca piuttosto sul versante dell’ecologia «profonda».
Questa tuttavia, almeno nella forma divulgata da Arne
Naess, tende forse un poco eccessivamente verso
l’ecocentrismo, mentre in realtà molti sostenitori della
decrescita si rifanno all’umanesimo. Su questo punto regna una
confusione abbastanza grande, che la tendenza a ragionare in modo manicheo non
aiuta a superare
Il progetto di una società autonoma
fondatrice
di un progetto di società autonoma, probabilmente non sia
una forma di umanesimo, deriva dal fatto che essa
si basa su una critica dello sviluppo, della crescita, del
progresso, della tecnica e in sostanza della modernità, e implica
una rottura con l’occidentalcentrismo.
Pluriversalismo
In
sostanza, bisogna pensare a sostituire il sogno universalista, ormai
offuscato dalle derive totalitarie e terroristiche e fatto
proprio anche dall’imperialismo della crescita,
con il necessario riconoscimento della «diversalità »
(secondo il neologismo coniato dallo scrittore creolo Raphaël
Confiant), o con un «pluriversalismo» necessariamente relativo,
ovverosia con una vera «democrazia delle
culture». Per questo il progetto della decrescita non è un
modello chiavi in mano ma una fonte di diversità.
Cambiamento radicale
Non sono dunque né le idee né le soluzioni che mancano, ma le condizioni della loro realizzazione. Si possono immaginare diversi scenari di transizione dolce, con misure molto progressive finalizzate alle riduzioni necessarie.
L’importante comunque rimane il cambiamento radicale di rotta. Perciò è necessario creare le condizioni di questo cambiamento.
Multinazionali e Stati
Siamo di fronte a un vero e proprio conflitto tra multinazionali e stati. Gli stati non sono più padroni delle loro decisioni fondamentali, politiche, economiche e militari, a causa delle multinazionali, che non dipendono da nessuno stato. Le multinazionali operano senza assumersi nessuna responsabilità e non sono controllate da nessun parlamento o istanza rappresentativa dell’interesse generale. In poche parole, la struttura politica del mondo è stravolta. Le grandi imprese multinazionali nuocciono agli interessi dei paesi in via di sviluppo. E le loro attività, causa di asservimento e senza controllo, nuocciono anche ai paesi industrializzati dove si realizzano».
Il modello lavorista
Per gli «obiettori di crescita», nella misura in cui è escluso il rilancio dell’occupazione attraverso il consumo, una riduzione drastica del tempo di lavoro imposto è una condizione indispensabile per uscire da un modello lavorista di crescita, ma anche per assicurare a tutti un’occupazione soddisfacente, realizzando al tempo stesso la necessaria riduzione di due terzi del consumo di risorse naturali.
Economizzare un kilowattora
Economizzare un kilowattora costa due volte meno che produrlo. Si delineano quattro elementi che giocano in sensi diversi: 1) una evidente riduzione della produttività dovuta all’abbandono del modello termoindustriale, di tecniche inquinanti e di macchinari energivori; 2) la rilocalizzazione delle attività e l’interruzione dello sfruttamento del Sud; 3) la creazione di posti di lavoro (verdi) in nuovi settori di attività; 4) un cambiamento degli stili di vita e l’eliminazione di bisogni inutili.
Crescita per la crescita
Comunque, la decrescita non è un dogma rigido ma una messa in discussione della logica della crescita per la crescita. E di conseguenza, parallelamente alla riduzione del tempo di lavoro e al taglio delle attività nocive, l’espansione di nuove attività desiderabili potrebbe dar luogo a un saldo positivo dell’occupazione.
Demercificazione» del lavoro
È indispensabile un ritorno alla
«demercificazione» del lavoro. Il gioco attuale del «minor offerente sociale» è altrettanto inaccettabile di quello del minor offerente ecologico. Per il salariato – scrive Bernard Maris – non c’è la fine del lavoro, come sembrerebbe indicare la diminuzione tendenziale delle ore lavorate, ma piuttosto il lavoro senza fine, la precarietà, l’isolamento, lo stress,la paura e la certezza di perdere rapidamente il lavoro». La riduzione del tempo di lavoro e il cambiamento del suo contenuto sono dunque innanzitutto scelte di trasformazione sociale, risultati della rivoluzione culturale che la decrescita richiede.
Trasformazione qualitativa del lavoro.
La decrescita implica invece al tempo stesso una riduzione quantitativa e una trasformazione qualitativa del lavoro. Alcuni sono già riusciti individualmente a realizzare questa fuoriuscita dalla società lavorista, e queste esperienze possono indicare una strada, a patto di resistere all’ingranaggio dell’accumulazione illimitata e di difendersi dal ciclo infernale dei bisogni e del reddito
L'incanto della vita
Senza recuperare l’«incanto della vita», la decrescita sarebbe votata al fallimento. È necessario ridare un senso al tempo liberato. Finché il lavoro salariato non sarà stato trasformato, le classi lavoratrici non avranno l’«attitudine al tempo libero», e cioè «i mezzi oggettivi e soggettivi per occupare il tempo liberato con attività autonome
... La maggior parte del tempo libero non porta a una riappropriazione dell’esistenza e non costituisce una fuoriuscita dal modello mercantile dominante.
Alchimia mercantile
Grazie all’alchimia mercantile, l’economia si è spesso dimostrata capace di tradurre la crescita in occupazione e di produrre effettivamente una crescita dei valori monetari, ma senza una crescita della soddisfazione umana o addirittura con una sua regressione: incorporando i costi di trasporto, di imballaggio, di brevetto e di pubblicità si possono aumentare i prezzi del prodotto farmaceutico, dello yogurt, dell’acqua e di tutti gli alimenti, ma senza
migliorarne la qualità.
Questo aumento fittizio di valore rispecchia un consumo sostanziale di energia (trasporti) edi materiali (imballaggi, contenitori, pubblicità...), ed è precisamente sulla riduzione di questi consumi intermedi che deve concentrarsi in primo luogo lo sforzo di decrescita.
Capitalismo e socialismo produttivista
Capitalismo più o meno liberista e socialismo produttivista sono due varianti di uno stesso progetto di società della crescita, fondato sullo sviluppo delle forze produttive, che dovrebbe favorire il cammino dell’umanità verso il progresso.
Non prendendo in considerazione i limiti ecologici, la critica marxista rimane prigioniera di una terribile ambiguità.
L’economia capitalistica viene criticata e denunciata,ma la crescita delle forze che essa scatena viene qualificata come «produttiva» (mentre quelle forze sono almeno altrettanto distruttrici)
L’economia capitalistica
L’economia capitalistica viene criticata e denunciata, ma la crescita delle forze che essa scatena viene qualificata come «produttiva» (mentre quelle forze sono almeno altrettanto distruttrici).
In sostanza la crescita, considerata dal punto di vista del trinomio produzione/ occupazione/consumo, viene accreditata di ogni effetto positivo, anche se, considerata invece dal punto di vista dell’accumulazione, viene vista come l’origine di tutti i mali: la proletarizzazione dei lavoratori, il loro sfruttamento, la loro pauperizzazione, senza parlare dell’imperialismo, delle guerre, delle crisi (comprese quelle ecologiche) ecc.
La trasformazione dei rapporti di produzione(che è il risultato della rivoluzione necessaria e voluta) si riduce di conseguenza a un drastico cambiamento, più o meno violento, della posizione degli abbienti nella ripartizione dei frutti della crescita. Della quale si contesta il contenuto ma non il principio.
In sostanza la crescita, considerata dal punto di vista del trinomio produzione/ occupazione/consumo, viene accreditata di ogni effetto positivo, anche se, considerata invece dal punto di vista dell’accumulazione, viene vista come l’origine di tutti i mali: la proletarizzazione dei lavoratori, il loro sfruttamento, la loro pauperizzazione, senza parlare dell’imperialismo, delle guerre, delle crisi (comprese quelle ecologiche) ecc.
La trasformazione dei rapporti di produzione(che è il risultato della rivoluzione necessaria e voluta) si riduce di conseguenza a un drastico cambiamento, più o meno violento, della posizione degli abbienti nella ripartizione dei frutti della crescita. Della quale si contesta il contenuto ma non il principio.
La riduzione drastica del tempo di lavoro
La riduzione drastica del tempo di lavoro costituisce una prima protezione contro la flessibilità e la precarietà.
Per questo motivo deve essere mantenuto e rafforzato il diritto del lavoro, oggi nel mirino dei liberisti in quanto fonte di rigidità. Questo non può che facilitare la decrescita.
Per questo motivo deve essere mantenuto e rafforzato il diritto del lavoro, oggi nel mirino dei liberisti in quanto fonte di rigidità. Questo non può che facilitare la decrescita.
Bisogna difendere dei minimi salariali decenti, contro le teorie degli economisti della disoccupazione volontaria, un’impostura del nostro tempo.
la decrescita e il capitalismo
La nostra concezione della società della decrescita non è né un impossibile ritorno all’indietro né un compromesso con il capitalismo. È un «superamento» (se possibile senza eccessivi traumi) della modernità. «Non è possibile convincere il capitalismo a limitare la crescita esattamente come non è possibile persuadere un essere umano a smettere di respirare», scrive Murray Bookchin. La decrescita va necessariamente contro il capitalismo. E non tanto perché ne denuncia le contraddizioni e i limiti ecologici e sociali, ma in primo luogo perché ne mette in discussione lo «spirito », nel senso che Max Weber dà allo «spirito del capitalismo » come condizione della sua realizzazione.
La decrescita è di destra o di sinistra
Anche se i governi di sinistra attuano politiche di destra e, non osando avventurarsi nella «decolonizzazione dell’immaginario», si condannano al social-liberalismo, gli obiettori di crescita, partigiani della costruzione di una
società della decrescita conviviale, serena e sostenibile, sanno distinguere tra un Jospin e uno Chirac, una Royal e un Sarkozy, uno Schröder e una Merkel, un Prodi e un Berlusconi, e anche tra un Blair e una Thatcher... Quando vanno a votare (cosa che noi consigliamo) sanno che, anche se nessun programma di governo prevede la necessaria riduzione dell’impronta ecologica, bisogna schierarsi dalla parte dei valori di redistribuzione, di solidarietà, di uguaglianza e di fratellanza e non dalla parte della libertà di impresa (e dunque di sfruttamento).
Superamento della modernità
La critica della modernità non implica il suo rifiuto puro e semplice, ma piuttosto il suo superamento.
È esattamente in nome del progetto di emancipazione dei Lumi e della costruzione di una società autonoma che noi possiamo denunciare il fallimento della modernità, di fronte all’eteronomia oggi imperante della dittatura dei mercati finanziari.
Reincanto
Abbiamo affermato che la realizzazione di una società della decrescita passa necessariamente per un «reincanto » del mondo. Bisogna però mettersi d’accordo su che cosa questo significa. Il «disincanto» del mondo moderno è al tempo stesso più semplice e più profondo di quel che fa intendere l’analisi di Max Weber. Non deriva tanto dal trionfo della scienza e dalla cancellazione degli dei quanto dalla straordinaria banalizzazione delle cose prodotta dal sistema termoindustriale.
In questo senso, si tratta veramente di un «disincanto» e non solo di una «demitologizzazione». Utilizzare massicciamente un’energia fossile fornita gratuitamente dalla natura sminuisce il lavoro umano e autorizza un saccheggio illimitatodelle «ricchezze» naturali.
Ne deriva una sovrabbondanza artificiale sfrenata, che distrugge ogni capacità di meraviglia di fronte ai doni del «creatore» e alle abilità artigianali umane. Non deriva tanto dal trionfo della scienza e dalla cancellazione degli dei quanto dalla straordinaria banalizzazione delle cose.
DISVALORE
DISVALORE,termine introdotto da Illich per indicare “quel genere di perdita che non può essere valutata con categorie economiche”.
Una perdita che gli economisti non possono realmente valutare. Per esempio, non c’è alcun modo di “valutare l’esperienza di una persona che perde l’uso effettivo dei suoi piedi in seguito al monopolio radicale imposto dalle auto nell’ambito della locomozione. Ciò di cui quella persona viene privata non appartiene al dominio della scarsità”
I Governi
sempre che vogliano andare controcorrente.
Esiste una «cosmocrazia» mondiale che, senza una decisione esplicita, svuota la politica della sua sostanza
e impone le sue volontà attraverso «la dittatura dei mercati finanziari».
Che lo vogliano o no, tutti i governi sono dei
«funzionari» del capitale.
Eliminando la capacità di rigenerazione
Eliminando la capacità di rigenerazione della natura,
riducendo le risorse naturali a una materia prima da sfruttare invece di attingerne, la modernità ha eliminato
questo rapporto di reciprocità.
La condizione della nostra sopravvivenza sta certamente nella ricostruzione di un rapporto armonioso con la natura, sulle orme di una concezione prearistotelica della relazione uomo-natura.
ECOLOGIA
L'ecologia è sovversiva poiché mette in discussione l'immaginario capitalista dominante.
Ne contesta l'assunto fondamentale secondo cui il nostro orizzonte è il continuo aumento della produzione e dei consumi.
L'ecologia mette in luce l'impatto catastrofico della logica capitalistica sull'ambiente naturale e sulla vita degli esseri umani" (Cornelius Castoriadis)
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